I nomi grobagnis, grobanges, groang, gruang, gruans, growan, ecc. raccontano dal 762 l’evoluzione del toponimo Gruagno. Il significato resta oscuro anche se per alcuni studiosi sembra avere una relazione con l’origine morenica del territorio e l’acquitrino a nord del colle che, prima della bonifica, poteva ospitare uccelli come le gru.

 Il colle di S. Margherita sorge sul limitare di una ricca falda freatica superficiale, che caratterizza tutte le nostre colline, e la piana di S. Andrea, situata a nord del rilievo, non conteneva uno stagno ma acque correnti non profonde, alimentate, come oggi, da numerose risorgive. Le canne palustri, ancora presenti, non erano il tratto distintivo di una palude ma soltanto di un terreno ricco d’acqua e non sufficientemente drenato.

 La natura non stagnante di queste acque è confermata anche dalla intitolazione a “Sante Sabide” della cripta della chiesa di S. Margherita che si eleva sul colle. Infatti le prerogative di questo “titulus” erano l’ubicazione rurale e la prossimità di una sorgente o di corsi d’acqua sorgiva(*).

 Il culto di “Sante Sabide”- sconosciuta all’agiografia ufficiale - essendo correlato alla solennizzazione del sabato, invece della domenica, secondo l’uso ebraico diffuso nelle campagne aquileiesi, venne osteggiato fino ad ottenerne l’annullamento. Il Patriarca di Aquileia Domenico Grimani il 3 aprile 1499 emanò un decreto contro la diffusa usanza di celebrare il sabato come giornata festiva: si doveva lavorare non soltanto fino a mezzogiorno ma fino al tramonto del sole ovvero fino al suono delle campane. Lo scampanio del sabato sera – usanza protrattasi anche nei nostri tempi - non aveva, come si crede, il compito di annunciare la domenica bensì quello di fissare il termine della giornata lavorativa.

 Il nome Sabide (Sabbata), inizialmente sostituito d’autorità dai sacerdoti durante i battesimi ed anche in occasione delle cresime, dopo una timida correzione con Sabina, tra il 1700 ed il 1800 seguì la sorte del culto e scomparve definitivamente.

 Paradossalmente però la cripta di S. Margherita mantiene ancora questa dedicazione.

 Il termine celtico groa/grova - che indica un terreno paludoso - non rappresenta, per le suddette ragioni, un’etimologia troppo convincente.

 E assai verosimile che le varie espressioni citate in apertura, annotate da mani differenti, si trovino registrate in modo diseguale e che la loro scrittura, probabilmente perché il significato era oscuro, rappresentasse la traduzione onomatopeica di un suono che persone dissimili e poco alfabetizzate recepivano diversamente.

 E’ suggestivo tuttavia immaginare che Gruagno risalga etimologicamente al latino groma- ae (centro di un accampamento dove si incontravano quattro vie ad angolo retto). A sostegno di questa ipotesi ancora oggi si possono individuare quattro percorsi che convergevano sulla cima del colle: via del Fornat, Jevade (che scendeva all’acqua), la via principale di accesso attraverso l’attuale portico e una strada ormai scomparsa che correva a nord-ovest proveniente da Moruzzo costeggiava la proprietà Titon e sbucava nei pressi del l’attuale campanile.

 Una seconda teoria – poco probabile – potrebbe collegare con il latino grumus-i (poggio). La posizione del colle - strategica perché dominante e panoramica - e la sua vicinanza all’acqua sorgiva, è compatibile con la presenza di un accampamento romano e quindi con una toponomastica di origine latina, non mitologica purtroppo e perciò meno gratificante per le nostre ambizioni.

 E’ altresì probabile che il colle, assieme a quelli di Moruzzo e di Fagagna, appartenesse alla linea di guardia occidentale costituita - a protezione di Aquileia e della Decima Regio Italica - da torri di segnalazione erette dai romani per allertare - di notte con fuochi e di giorno con fumo o rifrazioni solari - le popolazioni affinché, in occasione di aggressioni nemiche, potessero correre al riparo ed i contingenti armati perché approntassero le difese. Il colle poi ha probabilmente ospitato un piccolo insediamento abitativo e successivamente è divenuto luogo di ricovero durante le invasioni degli ungari.

 Il documento più antico della Pieve è datato 18 febbraio 1048 ed elenca alcuni lasciti testamentari di un certo Sabadino fu Antonio di Martignacco a favore della Pieve di S. Margherita. Sabadino è la versione maschile di Sabide però ha assunto in tempi remoti la connotazione prevalente di cognome (es.Sabbadini).

 Un documento del 1422 elenca le pertinenze della Pieve:

 Villa Sancta Margherita, villa Talazaje (Telessae) et Maial (?), villa da Plaijn (Plaino), villa de Alnico (Alnicco), villa de Thorian (Torreano), villa de Ceresetto, villa de Martignaco (Martignacco), villa Faognaci (Faugnacco), villa de Nogaredo Prà smerlato (Nogaredo di Prato), villa de Pagnaco (Pagnacco), villa de Quelgriglion (?), villa de Lazzaco (Lazzacco), et Malisatta (?), villa de Brazzaco, et Marzanich (Mazzanins), villa Colloredi de Prato, villa Brazzachi superioris supra paludem, villa de Passons.

 

ricerca realizzata grazie al contributo di Buzzi Vittorio

 

(*) Gilberto Pressacco. Tracce musicali della tradizione marciana nell’area mediterranea

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